ANATHEMA - We’re Here Because We’re Here
Kscope Records, 31 maggio 2010
Il lato umano (prima parte)
Ci sono artisti che inevitabilmente entrano nella tua vita con le loro canzoni e ne accompagnano il percorso durante gli anni. Spesso nel bene o nel male ci si rispecchia nei loro racconti, nelle esperienze espresse in forma musicale e capita che qualche loro tappa coincida (o abbia coinciso) con le tue stesse tappe del crescere e del consapevolizzare tali esperienze.
Perché ci sono musicisti e musicisti, chi vive la musica come business e chi la vive come sfogo, come creatività, come diffusione di sensazioni provate e razionalizzate in sette note. Come un modo per condividere certe emozioni che, ne sono sempre più certo, non tutti hanno la capacità di provare.
Perché certe vie vanno percorse da soli, vanno cercate da soli. E lo stare soli spaventa.
E la grandezza di certi artisti sta nel riuscire a trasmettere ciò che di personale si è provato in determinate situazioni e vedere se per caso combacia con le situazioni di altri. E ci vuole molto coraggio per esporre ciò che si ha dentro, il lato umano più fragile e indifeso.
Gli Anathema ne hanno fatto di strada, la loro evoluzione, il loro percorso umano prima che musicale (che poi ne è la naturale conseguenza) è strabiliante e il mio ascoltarli assiduamente da più un decennio mi porta a ritenerli un gruppo che pochi possono davvero comprendere, anche fra i loro (comunque numerosi) seguaci. Chi sa cosa vuol dire esporsi, chi ha imparato dai propri errori, chi si è messo in gioco davvero..
L’ennesimo nuovo corso degli Anathema è un’ennesima strada verso la maturità, verso quello stato “Zarathustriano” di comprensione degli eventi e del proprio io, che viene messo a nudo dal tempo e dalle situazioni. Come Zarathustra, perché quel tortuoso cammino interiore ed esteriore (in quanto rapportato con gli altri) è segnato dai fallimenti e dai mille vicoli ciechi che ognuno di noi (se essere consapevole) imbocca a causa dell’incomprensione e dalle conseguenze di tali aspetti non compresi. L’Io Zarathustriano schernito per le proprie convinzioni che semina solo per chi raccoglie non è dissimile dal percorso musicale dei nostri che suonano (e scrivono) per chi riesce a comprendere, per chi è passato da determinate strade.
Questo disco è un’ennesima tappa verso la comprensione di quel qualcosa che ognuno di noi (se essere consapevole) va cercando nell’inevitabile confronto con le situazioni. Verso quel concetto di serenità che solo chi ha coraggio di passare dai fallimenti, chi non rifugge il concetto di dolore dell’anima che la vita ti mette davanti, può ambire di trovare. E sono pochi ad imboccare quella strada. Perché nessuno ha voglia di soffrire e quindi meglio scappare nella conformità, meglio giudicare e mai giudicarsi.
Il percorso degli Anathema è sempre più nitido, dal dolore viscerale e dal rifiuto della realtà di Silent Enigma, passando dalle tiepide strade dell’amore visto come eccesso anziché bisogno (e sfido molti di voi a capirne la differenza) di Eternity, dove quasi adolescenzialmente ci si aggrappa al concetto di speranza, fino al primo vagito di consapevolezza di un disegno generale (Alternative 4), per arrivare al baratro della totale disillusione e rassegnazione (Judgement). E poi la rinascita di A fine day to Exit, un titolo che racchiude il senso di un album, non una ritrovata speranza ma un diverso modo di vedere le cose, per arrivare ad una temporanea pace (si noti il senso Schopenaueriano di temporaneo). Ma il percorso ovviamente non finisce con stati illusori, l’io consapevole lo inganni per poco e i nodi vengono sempre al pettine e con A Natural Disaster si infittisce il rapporto con gli altri dopo gli stadi passati di comprensione dell’io, un io maturo che mette a disposizione la propria consapevolezza per gli altri (leggete il testo di Electricity ), ma solo alcuni “altri”.
Il concetto non è dissimile dal seme gettato al vento che germoglia da qualche parte (in qualcuno) e finalmente quel We’re here because we’re here trova il suo senso anche dal punto di vista dialettico. E non ci si può più guardare indietro (We've come too far to turn back [...] this is where we stand...si canta in Thin Air).
Loro sono qui perché c’è bisogno di continuare quel percorso, di continuare a costruire un rapporto con altre persone in cui può germogliare quella consapevolezza che può portarti a quella serenità che non puoi avere a prescindere da te stesso.
L’apice lirico è in A Simple Mistake, dove in poche righe c’è il senso di molto di ciò che abbiamo discusso fino a qui:
...Time can be the answer, take a chance, lose it all
It's a simple mistake to make to create love and to fall
So rise and be your master you don't need to be a slave
Of memory ensnared in a web, in a cage
(liberamente tradotto)
Il tempo può essere la risposta, afferra questa chance, perdi tutto
Si tratta di un semplice errore da fare per creare amore e per cadere
E risorgere ed essere il padrone (di te stesso nda) non hai bisogno di essere uno schiavo
della memoria intrappolato in una rete, in una gabbia
L’invito a mettersi in gioco con una sottile sfida (take a chance, lose it all), che non è un consiglio a sbagliare ma a rischiare, a mettersi a nudo, perché dall’eventuale errore si liberi il processo cognitivo. Che può portarti anche a vedere le cose in maniera diversa rispetto a tempo prima:
We're not just a moment in time... (chi si ricorda Shroud Of False ?)
Gli Anathema sono qui perché (per alcuni) c’è bisogno di continuare quel percorso.
Perché non è bello saper ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno.
Commenti
Sono dei compagni di viaggio, degli amici. In questo senso per me è stato facile poter parlare francamente con Danny di quanto mi riconoscessi nella loro musica e nei loro testi. Ricordo che a Danny sembrava che la cosa fosse ovvia. Grazie Falco, e Grazie Anathema
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