Billy Talbot - Alive in the spirit world (2004)

Postato in Let It Bleed

Scritto da: Alberto Calorosi

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Billy Talbot Alive in the spirit worldLabel: Sanctuary records

Issued: 204

 

 

 

 

 

 

Suonati da poco i sessanta, Sfiatino Talbot percepisce finalmente l'esigenza di emanciparsi dai Cavallucci pazzerelli e andarsene a vivere da solo, almeno per un po'. Il suo (lunghissimo) esordio solista (una traccia soltanto sotto i cinque minuti, due sopra i dieci), vocalmente collocabile tra Dylan e Clapton (due indubbi giganti delle corde, rispettivamente emotive e chitarristiche, ma non certo di quelle vocali) e stilisticamente annoverabile tra un Graham Parsons con la diarrea e un Neil Young in ciabatte che ramazza il portico, produce un folk sonnolento e ripetitivo con sparute sortite elettriche di quando in quando (il finale di Painting of a man, il corpo di Stained et al.) oppure un rock sonnolento e ripetitivo con sparute virate acustiche (il vago, molto vago sentore Cortez-the-killer di Dreamer, la crazy-galoppata - forse più una trotterellata - in 7/8 di Security girl, o ancora l'interminabile On the horizon che riproduce l'istinto sonico dei Crazy horse più o meno come farebbe una pianolina meccanica). Mediocri mid-tempo in apertura (The way life is, His song), più avanti atmosfere notturne, nel senso che fanno dormire (Rainy days, la conclusiva Living in the spirit world). Si fa largo tra la noia il quasi-rap in salsa tex-mex di Stress release, peraltro superato in pacchianeria soltanto qualche anno più tardi dall'ineffabile Neil Young gangsta di Cough up the bucks. Sentitela. Anzi, sentitele entrambe. Ne vale la pena.

 

Sì però avrei fretta: Stress release