Pearl jam - Yield (1998)
Label: Epic
Issued: 1998
Yield. Cedere il passo. Riconsiderare. L'album che pone fine agli isolazionismi. Quello di E-V nei confronti dei P-J (firma la musica due volte su tredici e i testi otto su dodici), quello dei P-J nei confronti del resto del mondo (il videoclip del singolo Do the evolution, da confrontare assolutamente con il Bolero di Bruno Bozzetto in Allegro non troppo, è il primo dai tempi di Ten; il tour USA di Yield è il primo con Ticketmaster dopo la, ehm, originale colluttazione giudiziaria). Dare la precedenza. Alle letture di Ament (un vecchio Ponzio Pilato alle prese coi rimorsi, Pilate, le luci che si spengono in lontananza, Low lights, entrambe ispirate dalla lettura, dice lui, di Bulgakov), all'umorismo bislacco di Gossard (l'invettiva contro i luoghi comuni piena di lughi comuni di No way), allo sbarattolante drumming improvvisato di Irons, al convincente chitarrismo di McCready (sue le architetture di due degli episodi più riusciti: Brain of J e Given to fly). Ai dubbi versus le certezze (chi ha rubato il cervello di Kennedy? Brain of J. Perché ostinarsi a pregare? Faithful), all'evasione versus la contingenza (l'uomo capace di volare sulle ingiustizie del mondo, Given to fly e il suo Bukowskiano alter ego incline all'ascesi, In hiding, ché, badate, la fuga non è un crimine, All those yesterdays; il desiderio di essere altro da sé, Wishlist), alla scimmia versus l'homo sapiens (Do the evolution, ovviamente). Allocare al confino (Red dot, la jammosa e poco ispirata Push me pull me, quella specie di tango scordato nascosto in fondo al CD) certe autoinflitte sperimentazioni. Cercare riappropriarsi dello straordinario straight rock emozionale degli esordi. E di sé medesimi, che poi è la stessa cosa.
Sì però avrei fretta: Do the evolution / Given to fly / Wishlist