Voina - Alcol, schifo e nostalgia (2017)
Label: INRI
Issued: 2017
Una stralunata e personale ribellione nei confronti del conformismo ("Andiamo a fare schifo insieme / … / Sei bella come una piazza in fiamme", l'amore alcolico-fricchettone di Ossa, la lirica senz'altro più naif del disco), la (prevedibile) distanza nei confronti della società (il lavoro, Welfare; il debito pubblico, ma non vi sfugga che de Gli anni 80 si stigmatizzano anche l'arrivismo, la fantascienza e la musica di merda) una autoconsapevole esaltazione dell'antisocialità ("L'aperitivo in centro è la mia idea di inferno" Non è la RAI, concetto ribadito nello sviluppo del singolo Io non ho quel non so che) destinata ineluttabilmente a confluire nella abulica soddisfazione medio-borghese ("Riesci a pensare a una cosa più triste / di noi che iniziamo / ad apprezzare il jazz", he heee, Il jazz) discretamente poco fascinosa. Non resta altro che restarsene seduti qui al bar fino alla fine ("Quando morirò non chiamare un prete / portami da bere", Bere) a straparlare degli insetti e della provincia (La Provincia). Produzione un cicinino troppo tre-allegri-ragazzi-moribonda (Il futuro è alle spalle et al.) con l'augurio che nel prosieguo i suoni si facciano progressivamente più dissonanti (La provincia).
Sì però avrei fretta: Ossa / Il jazz
Due chiacchiere con la band
Q1 - Alcuni temi riportano alla mente il primo Vasco (Fegato spappolato, La strega). A parte il debito pubblico, cosa è cambiato oggi rispetto agli anni fine70 / inizio80?
A1 - Il primo Vasco è un gigante e ti sono molto grato per questa libera associazione. Personalmente non li ho vissuti e se potessi scegliere una decade in cui piombare con una DeLorean non credo che sarebbero gli anni delle spalline. L’immagine filtrata che ho ricevuto è quella di un periodo che sintetizzerei con il termine “cafone”, termine che trovo particolarmente aderente anche ai nostri anni. Forse la differenza tra oggi e quella decade sta nell’aura di ottimismo che li circondava. Negli '80 l’ottimismo conservava una vera, seppur ingenua, autenticità mentre oggi quello che cercano di propinarci è un ottimismo vecchio, stantio, di seconda mano.
Q2 - Qual è l'ingrediente segreto per fare sbattere le ossa ai vostri concerti?
A2 - Basta poco. Dare tutto ad ogni singolo concerto. Che se tieni il freno a mano se ne accorgono sempre. Naturalmente aiuta anche avere sotto il palco una massa di pazzi scatenati. Cosa che con nostro grande piacere succede sempre più di frequente.
Q3 - Se non ad ascoltare jazz, come immaginate voi stessi fra, diciamo, dieci anni?
A3 - Magari saremo quei tipi che fanno un lavoro di merda e passano il tempo libero al bar, a giocare a carte bestemmiando con gli amici. E’ un’ipotesi realistica. Comunque, in generale, c’è una grande paura di immaginarci adulti, di diventare quello che si è sempre odiato. Come quelli che passano il week-end a comprare mobili, che mangiano roba bio e che mette le grate alle finestre. Il nostro incubo è svegliarci un giorno e accorgerci di avere una vestaglia di seta.