Tori Amos - Native invader (2017)
Label: Decca
Issued: 2017
In apertura, l'incontro con il Re delle Renne conduce a un'amara considerazione sulla recessione del permafrost (l'epos apocalittico, il cosiddetto apocalepos, della introduttiva Reindeer king riassume ed esemplifica certi fantapipponismi dei dischi passati in un modo che piacerebbe al beneamato Ronnie J. Dio), complementare per esempio all'ermetismo bucolico di Wildwood o al, diciamo così, pampsichismo native/americano di Up the creek ("Good Lord willing and the creek don't rise" pare fosse un mantra di nonno Amos, di etnia cherokee), straordinariamente, diciamo cosà, coxoniano. Se da un lato T-A non perde il vizietto di certi notturni incontri letterari (il summenzionato Re Renna, ma anche, poco più avanti, i Cavalieri delle Nuvole nella straordinaria - sentite l'hammond in chiusura - Cloud riders, appunto) e di tematiche che faticano ad evolvere (la conflittualità di coppia: Breakaway, l'empatia: Wings) dall'altra i suoni, meravigliosamente pensati e sempre pervicamente sospesi tra folk subliminale (Cloud riders, Bang, Breakaway et parecchie al.) e subliminali pennellate cromatiche: l'elettronica quasi Choirgirl hotel almeno in Wings, il wah-wah funky di Broken arrow (trattasi dell'ennesima staffilata anti-Trump, ma con un taglio anticonvenzionale, perlomeno nell'individuare una certa continuità ideologica tra il Cretino Regolarmente Eletto Presidente e certe posizioni dei Padri Fondatori Americani). Trascurabili le due bonustrack.
Sì però avrei fretta: Cloud riders / Up the creek / Bang