Rossella Seno - Pura come una bestemmia
Azzurra Music, 2020
Da tempo volevo dedicare in questo blog un po’ di spazio a una delle artiste di casa nostra certamente tra le più interessanti e talentuose, vale a dire la veneziana Rossella Seno.
Il suo “Pura come una bestemmia” infatti rinverdisce a pieno titolo i fasti della canzone d’autore, quella più pregante di significati e densa di spessore, per tematiche, atmosfere, suoni.
Tutto è condensato nel migliore dei modi in queste tredici tracce che, sin dal primo ascolto, non possono proprio lasciare indifferenti.
Ogni tassello di questo mosaico (pubblicato dalla label veronese Azzurra Music) è al punto giusto, a iniziare dalla magnetica copertina (opera dell’artista Moby Dick, alias Marco Tarascio), dai toni mistici oltreché implicitamente provocatori, con la Nostra – come da titolo – crocifissa, atta a rappresentare la maniera brutale in cui ancora oggi vengono spesso maltrattate non solo le donne, qui esemplificate dalla stessa Rossella (che oltre a cantare, sa declinare la sua arte mediante la recitazione, impegnata com’è in progetti anche particolari e ricchi di significati profondo come il “teatro sociale” da lei definito), ma anche la Terra in cui viviamo, la natura spesso offuscata, quando non del tutto nascosta, da un mucchio di rifiuti.
E’ facile quindi partendo da presupposti simili comprendere quali siano le finalità e il filo conduttore di un album che guarda agli “ultimi”, agli indifesi, a chi fatica a fare sentire la propria voce.
In questo è innegabile vengano a galla le influenze che accompagnano la Seno da quando ha capito che la musica (e i testi in particolare) potevano avere una grande valenza non solo narrativa ma anche sociale.
Certi spunti affrontati con perizia e grande senso etico devono molto all’esperienza dei più grandi, da De Andrè a Tenco, da Endrigo a Fossati – e in tal senso il pool d’autori occorso a dare il proprio contributo alla realizzazione del disco assomiglia a un vero parterre de rois – ma a rendere memorabili, toccanti e assai coinvolgenti tutti i brani è proprio la presenza e la performance di Rossella Seno, il cui canto appare profondo, passionale, intenso ma mai greve e scostante.
Alcune canzoni partono da più lontano, essendo già state proposte dal vivo nei suoi spettacoli, ormai era arrivato il momento giusto per fissarle su nastro e dare modo a più gente possibile di scoprire degli autentici gioielli.
A coadiuvarla in maniera più preponderante in questo “viaggio” è stato il polistrumentista Massimo Germini (ha suonato chitarre, basso, armonica e mandolino), che ha scritto la musica di ben otto brani e soprattutto ha curato i pregevoli arrangiamenti dell’intero album, ma in fase di scrittura e in studio sono intervenuti a collaborare nomi illustri come Pino Pavone (impossibile non citare la sua fruttuosa esperienza con Piero Ciampi), Michele Caccamo, stimatissimo poeta anche all’estero, Federico Sirianni e Lino Rufo; quest’ultimo poi ha musicato un testo del mai dimenticato Edoardo Sanguineti, per uno degli episodi più suggestivi della raccolta: “La ballata delle donne”, ulteriormente impreziosita dall’evocativa voce di Mauro Ermanno Giovanardi, per un duetto a dir poco struggente.
Giusto però citare tutti coloro che hanno apposto la propria firma in questo progetto così rilevante: Matteo Passante (che con Germini ha scritto tre brani, tra cui il mio preferito ma ci tornerò su più tardi), Paolo Fiorucci, Piero Pintucci (stretto collaboratore di Renato Zero), per non dire dello scrittore Erri De Luca, cui si devono le significative parole di “Mare nostro”, recitate nella prima traccia da Rossella, a indicare il mood di tutta l’opera.
Tra i musicisti vanno segnalati il polivalente Lele Battista (che non ha certo bisogno di presentazioni), Alessandro D’Alessandro che regala il suo organetto nella paradigmatica “Sei l’ultimo”, uno degli episodi più degni di nota di quello che ha tutti i crismi di un concept-album, il percussionista Emiliano Cava e gli archi appannaggio di Simone Rossetti (al violino) e Saverio Gliozzi (al violoncello), già nei Khora Quartet.
Una strumentazione prettamente acustica ma che miscelata in modo mirabile dal già citato Massimo Germini (per anni al fianco di Roberto Vecchioni come chitarrista) crea una moltitudine di stili, colori, umori, rendendo oltremodo variegato e ricco l’apparato musicale.

Dicevamo, l’inizio è affidato a “Mare nostro” e alle sue parole cariche di pathos: “Mare nostro che non sei nei cieli/ e abbracci i confini dell’isola e del mondo/ sia benedetto il tuo sale/ sia benedetto il tuo fondale/ Accogli le gremite imbarcazioni/ senza una strada sopra le tue onde/ i pescatori usciti nella notte/ che tornano al mattino/ con la pesca dei naufraghi salvati” che si riconducono alla traccia seguente, l’altrettanto profonda “Ascoltami o Signore”, sorta di invocazione interamente scritta da Federico Sirianni.
Un uno-due posto in apertura in grado di stenderti, non c’è niente da dire!
“Principessa” – il cui testo è di Pino Pavone (autore con Germini anche de “La città è caduta”) si stacca a livello narrativo dalle precedenti e risalta per i suoi toni più riflessivi e intimi; de “La ballata delle donne” ho accennato poc’anzi: si tratta di una composizione di ottima fattura, tra cantautorato e folk, forse la più “deandreiana” di tutte.
Arriviamo così a uno degli episodi più a fuoco, in cui la Seno sembra cantare ancora con maggior trasporto emotivo: lo fa per omaggiare la vicenda di Stefano Cucchi nella toccante “Gli occhi di Stefano”, indubbiamente uno degli apici del disco.
Il brano di Caccamo e Pintucci assume sin da subito toni forti e da metaforici i versi si fanno via via più cruenti e diretti, fino al ritornello intriso di alto lirismo: “Stefano è un Cristo/ ha le stimmate rosse/ ma non sono spine/ piuttosto percosse/ e la sua sindone/ hanno messo nel secchio/ tanto quell’uomo/ non sarà mai vecchio“. Una canzone che non può non toccare gli animi più sensibili.
Si tira un po’ il fiato con la successiva, briosa “La città è caduta”, dall’arrangiamento gentile, mentre “Luna su di me” vanta un testo (ad opera di Paolo Fiorucci) poetico e immaginifico.
E’ questo un caposaldo del disco, dagli importanti risvolti sociali, in quanto inciso in favore di “Animals Asia”, Fondazione bolognese per la protezione e il salvataggio degli orsi tibetani, i cosiddetti “orsi della luna”, costretti a subire atroci sofferenze in quanto la loro bile viene utilizzata come elemento della tradizionale medicina asiatica.
In questo modo l’artista ha voluto sensibilizzare su una questione poco nota e più in generale rimarcare come l’uomo sappia essere crudele nei confronti degli animali.
La tracklist prosegue alla grande con “La chiamano strega”, che già avevamo apprezzato in principio di progetto, essendo stata scelta come singolo: i motivi e i meriti ci sono tutti, visto che si tratta di uno di quegli esempi in cui la canzone d’autore torna a svettare come dicevo nella mia introduzione. Michele Caccamo, che su musica del “solito” Massimo Germini, ha scritto il testo, conferma una volta di più il suo gran gusto nello sviscerare ritratti, poi resi nel migliore di modi dalla titolare del progetto.
Stavolta la vicenda narrata trae ispirazione dalla vera storia della polacca Simona Kossak, artefice di una scelta tanto drastica quanto affascinante e unica: lasciare la sua vita di biologa per andare a vivere a pieno contatto con la natura, nella foresta di Bialowieza, con una concezione del mondo arcaico e genuino. Additata per questo come “strega”, la sua storia ha lasciato un solco profondo nell’anima di Rossella, per come la società tenda spesso a stigmatizzare chi rinuncia consapevolmente a un modello di esistenza legato indissolubilmente agli aspetti più materiali.
Seguono due brani la cui componente musicale attrae quanto quella narrativa (in un album in cui si è ormai capito il livello dei testi è molto alto): “Io che quando posso” e “Remi e ali” (scritti da Passante e Germini) sono affreschi d’autore intessuti in una veste vagamente più pop, specie la seconda (eccola qui, la mia canzone preferita, per quanto possa interessare!) la cui scintillante melodia e un arrangiamento misurato ma ricco la fanno contraddistinguere nell’ambito di un disco per il resto davvero omogeneo. A scanso di equivoci, anche qui il tema portante, quello del dolore dell’assenza, viene trattato con estrema cura e delicatezza.
Si tratta però di un intermezzo più leggero in attesa del gran finale, segnato da un trittico eloquente per eleganza interpretativa, impeto narrativo e pulizia musicale, elementi cardini di “Pura come una bestemmia”.

“Lasciatemi stare” è anch’essa baciata dal talento autoriale di Michele Caccamo, che delinea un racconto crudo, dove le immagini violente si rincorrono e si susseguono a testimonianza di quanto la realtà può essere dura e assai poco consolatoria. Il testo in prima persona enfatizza il dolore e l’angoscioso tormento della protagonista, il cui amato si è suicidato in carcere.
In “Sei l’ultimo” il tono descrittivo si alterna all’afflato poetico – alla De Gregori , specie nel fluido ritornello – e musicalmente ha un sapore antico ma tremendamente efficace.
Se la prima canzone incontrata in questo viaggio – dopo la intro “Mare nostro” portava la firma di Federico Sirianni, è lo stesso cantautore a occuparsi di darne degnissima chiusura con l’incalzante “Puri come una bestemmia”, che come un’epifania si era manifestata a Rossella Seno proprio in dirittura d’arrivo, quando l’album sembrava quasi considerarsi concluso. “Quasi” appunto, perchè evidentemente questo ulteriore, ultimo tassello, aveva urgenza di essere dato alla luce e formarsi.
Le sue parole in effetti suggellano perfettamente ciò che nel frattempo abbiamo ascoltato a amato: “Scagliano pietre e lanciano bengala, mettono al rogo la madre e la bambina, hanno un Vangelo per la cena di gala e un Kirie Eleyson per la messa alla mattina, il grano per la mietitura, il sangue per la vendemmia, hanno tutti il cuore puro, puro come una bestemmia”.
Uno schiaffo a tutti i perbenisti, a chi antepone la forma alla sostanza, agli ipocriti, ai puri come una bestemmia appunto.

Cosa posso aggiungere infine su questo album?
Una parola in più la spendo volentieri proprio su di lei, su Rossella che, come le grandi interpreti del passato, ha marchiato a fuoco l’intero focus artistico, forte di una personalità multiforme in grado di emergere in tutto il suo talento e il suo estro, e di indirizzare il lavoro in una sola direzione, illuminata da tanta passione e qualità.
La pandemia che ancora, ahimè, ci coinvolge tutti ha ovviamente condizionato il percorso dell’artista veneta – e di questo album in particolare – quando la stessa già doveva partire con uno spettacolo che si preannunciava interessante nella sua commistione tra musica e teatro. Ma il tempo di recuperare ci sarà tutto, questo è quello che tutti ci auguriamo di cuore.
Nel frattempo voi amici lettori affrettatevi a recuperare questo disco, a mio avviso tra i migliori usciti in Italia in questo funestato 2020.