AA.VV. - A Life In Yes: The Chris Squire Tribute

Postato in Yasta la Vista

Scritto da: cspigenova

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A Life In Yes The Chris Squire Tribute(Purple Pyramid Records, 2018)

 

 

 

Su iniziativa dell’attuale bassista degli Yes, Billy Sherwood, a novembre del 2018 è stato pubblicato un interessante CD dedicato alla memoria di Chris Squire, fondatore della storica band britannica, scomparso nel 2015.

La tracklist ha voluto tenere conto dei momenti rilevanti di questo fondamentale musicista progressive, sia attraverso la produzione – firmata da lui – negli Yes, sia attraverso le composizioni solistiche.

Sherwood suona il basso, la chitarra e, in alcune tracce, canta; è affiancato alla batteria da Jay Schellen, che, in alcune occasioni, abbiamo già visto sostituire Alan White proprio negli Yes. Qua e là, scorrendo la playlist, scorgiamo nomi della storia del progressive rock inglese, ma anche figure apparentemente esterne a quel mondo.

Incuriosisce il fatto che la maggior parte dei brani a firma Yes provengano da uno degli album più discussi della fase classica ovvero Tormato. Probabilmente è anche un modo per riportare in sede rivalutativa (se non riabilitativa) un disco che, comunque, mostrava episodi tutt’altro che trascurabili. Infatti, Sherwood sceglie On Silent Wings Of Freedom come opener (e vi troviamo Jon Davison – cantante dell’attuale formazione – e Patrick Moraz), Onward (affidata al canto evocativo, quasi fiabesco di Annie Haslam dei Renaissance) e Don’t Kill The Whale (all’epoca hit di punta del 33 giri, qui interpretata da Candice Night, cantante dei Blackmore Night, e dall’Hammond di Brian Auger).

Ma è altrove che, comunque, il disco arriva a solleticare la nostra curiosità aspettativa: Hold Your Hand (dall’esordio Fish Out Water) colpisce, intanto, per la calligrafia bassistica di Sherwood, che si pone ad accogliere l’eredità tecnica del mentore; buoni tratteggi vocali di Steve Hogarth (Marillion) e i panneggi sintetici delle tastiere di Larry Fast (occhio, è un mago dei sintetizzatori che ha lavorato con Peter Gabriel, Kate Bush, Foreigner e Nektar).

Da Fragile due significativi momenti: l’incalzante South Side Of The Sky con David Sancious (azzeccate le variazioni sul tema, suonate al pianoforte) e un inatteso Steve Stevens, sì, il chitarrista di Billy Idol che da ragazzino pare fosse un fan sfegatato degli Yes e degli E.L. & P.; The Fish, invece, con Sonja Christina, cantante e fondatrice dei Curved Air (ma il vocalizzo è solo un valore aggiunto alle sovraincisioni bassistiche di Sherwood, che tengono ferma la centralità del pezzo su rifiniture strumentali).

Convincente la resa di The More We Live – Let Go (da Union), ingentilita dalla chitarra di Steve Hackett e dalle tastiere del Toto Jeff Porcaro: anche in questo caso, Sherwood è il vero mattatore del brano, sia come cantante (una grana molto vicina a quella di Wetton), sia come esecutore della chitarra sitar (benché nel disco vi sia scritto che suoni il sitar, ma il timbro è più quello di un modello simile alla Danelectro). Così come la versione di Parallels (da Going for the One) allineata allo Yes Sound grazie alla voce di Danison e alle tastiere del condatore Kaye. Non poteva mancare Owner of a Lonely Heart con il doppio cameo di Nikki Squire, vocalist ed ex moglie di Chris, e Dweezil Zappa alla chitarra che, nel solo, non sfigura affatto, pur offrendo una lettura diversa da quella originale di Trevor Rabin.

Il disco si chiude in maniera anomala con due bonus track: una, prevedibile, cover degli Yes e una, inaspettata, dei Pink Floyd. Nel primo caso un ripescaggio, risalente al 2012, del supergruppo The Prog Collective con un brano di Sherwood ovvero The Technical Divide con lo stesso Squire al basso, David Sancious alle tastiere, Alan Parsons alla voce e Gary Green (Gentle Giant) alla chitarra. Nel secondo, un gran finale con Comfortably Numb, cantata da Chris Squire, per un altro album tributo (Back Against The Wall del 2005), insieme ad Alan White (batteria), Billy Sherwood (chitarra e tastiere) e Jordan Berliant (chitarre acustiche).

Una buona antologia che, tutto sommato, riesce a comunicare la storia artistica di un compositore attraverso le orme più significative, benché avrebbe giovato qualcosa in più proprio dall’esordio del 1975, magari con una versione ad hoc dell’apice di quel disco, la magniloquente e abbagliante Silently Falling. Non sarebbe stato male…

 

(Riccardo Storti)