THE CURE - Faith
Fiction Records, 1981
Siamo nel 1981. Potrebbe essere un disco uscito l'altro ieri.
Il primo capolavoro pop è già lontano di tre anni e nel frattempo erano usciti Seventeen seconds e Pornography. Robert Smith è stato dato per morto già diverse volte mentre sprofondato nell'apnea della sua misantropia trova libero sfogo, una boccata di ossigeno, nel disco più consapevole di tutta la carriera dei Cure e che risulta più preghiera sfocata, uno specchio di fronte cui inginocchiarsi e ricercare un ultimo appiglio in se stessi. Un disco di estasi annichilente, vuoto, stanchezza. Un lamento profondo come un utero senza fondo. Il vuoto prima dell'infinito. Una morbosa fascinazione per l'illusione di una vita incastrata nel niente. Simon Gallup col suo basso trascina la musica, mentre Tolhurst coi suoi semplici pattern ritmici risulta ormai un androide.. A Robert non rimane che incrociare due accordi e tirare fuori quella sua anima avvvilita e distaccata: il gioco è fatto.
E' un disco difficile Faith, il più bello dei Cure a mio parere.
Inizia con Holy Hour che non lascia certo presagire quell'esplosione post punk primitiva di Primary: ritmiche serrate e chitarre nervose. Other voices è eterea, bellissima e suggestiva di spazi vuoti di qualcosa che sembra mancare ma che in realtà è presenza inquietante.
Tristezza, delirio e dolcezza insieme come eteree sono All the cats are grey e Funeral Party, ed infine la Title track un capolavoro di bellezza assoluta, di corde di chitarra trascinate dalla noia di vivere che ti portano sott'acqua senza accorgertene. Un eccelso minimalismo che sarà ripreso, ma da tanti e in tanti generi diversi. Ascoltatelo e capirete.
Me ne sono andato via solo,
con nient'altro che la Fede
con nient'altro che la Fede.