Restruct – Built back up from self-destruction (Indipendent, 2010)
Se prestassimo fede al comunicato stampa dovremmo credere che questo gruppo sia la new sensation dell’hard rock americano, che procede inesorabile concerto sold out dopo concerto sold out; quindi, se si ritiene la musica uno specchio fedele della società, dovremmo anche pensare che, almeno in questo ambito, l’America di Obama sia nettamente peggiore di quella di Reagan. I Restruct mettono in fila tredici ballatone per la durata monstre di quasi 60 minuti, incuranti del fatto che dopo il primo pezzo si abbiano già le prime avvisaglie di orchite. Se si passa al secondo brano è solo per la speranza di essere smentiti, ma se arrivate al terzo avrete ormai capito l'andazzo: chitarre stoppate in apertura per fare i duri e poi melensaggini assortite, assoli raccapriccianti, melodie che strizzano l’occhio all’emo gotico di ultima generazione e non un brano che sia uno degno di essere ricordato: la fiera dei paraculi, insomma. Ora, che questa nuova scena hard rock nasca in discontinuità con quella gloriosa ma inesorabilmente lontana della seconda metà degli ’80 ci può stare, ma almeno quelli potevano vantare padri nobili che andavano dagli Stones ai Led Zeppelin finanche ai Sex Pistols; questi, a quanto pare, le uniche cose che si sono ascoltati sono il grunge di seconda generazione, quello peggiore e i Linkin’ Park: è senza dubbio il caso di parlare di padri ignobili. La cosa che comunque lascia più interdetti, al di là di quali possano essere i gusti dell’ascoltatore, è come una musica moscia e leggerina come questa possa definirsi hard (e) rock(’n’roll). Un gruppo che farebbe pessima figura anche nella programmazione di 110% , non credo sia il caso di aggiungere altro.