On the Road
Francia, 2012, di Walter Salles
On the Road non è solo il libro che narra i cinque viaggi Sal Paradise (alter ego dell’autore Jack Kerouac) e dell’amico Dean Moriarty (alias Neal Cassady). È un vero e proprio manifesto generazionale, una pietra miliare della letteratura americana, un modo di dire, uno stile di vita trasmesso dai diari romanzati in letteratura e nei road movies al cinema. Francis Ford Coppola ne acquistò i diritti nel 1979, provando invano a portarlo sullo schermo più e più volte. Alla fine decise di affidarne la regia a Walter Salles dopo aver visto il suo I diari della motocicletta, dove il tema del viaggio è fondamentale. Il film esce nel 2012, dopo due anni di lavoro. Il risultato è però assai deludente, soprattutto se si pensa al budget di 25 milioni di dollari e ai nomi che tale cifra ha permesso di avere nella troupe. Alla fotografia abbiamo Éric Gautier (Into the Wild) e alla colonna sonora Gustavo Santaolalla (il già citato I diari della motocicletta, I segreti di Brokeback Mountain e collaboratore di Alejandro Iñárritu): un’ottima partenza, dunque. La regia non ha poi saputo incrociare questi importanti elementi, sicché le degne ricostruzioni delle città e gli splendidi panorami non hanno sempre un’adeguata musica in sottofondo. Oltre al lirismo dei paesaggi e qualche scena effettivamente girata con destrezza l’ancora di salvezza è il cast. Se Sam Riley e Kirsten Dunst sono più che all’altezza, Garrett Hedlund si dimostra sicuramente il migliore nel regalarci un Dean esuberante e carico di vita esattamente come nelle pagine del romanzo. Le pecche maggiori? Il poco spazio lasciato ai personaggi minori (Mortensen, Buscemi e la Adams totalmente sprecati) e la caratterizzazione da idiota del personaggio di Tom Sturridge, ossia Carlo Marx, pseudonimo del poeta Allen Ginsberg. Kristen Stewart, per quel poco che fa, risorge dalla piattezza che mostrava in Twilight, sebbene interpreti una Marylou più bramosa rispetto alla versione cartacea. Ma questo è anche per colpa della sceneggiatura di José Rivera (nominato all’Oscar per il solito I diari della motocicletta), che sembra mantenersi fedele al testo quando in realtà elimina le riflessioni del protagonista, la descrizione dei luoghi e il ruolo della musica per soffermarsi, con cambiamenti di piccoli dettagli, sulle parti più “trasgressive” fino all’esagerazione e al ridicolo. Non si tratta più un road movie, bensì di un concentrato di sesso, droga e rock ’n’ roll senza approfondimenti psicologici o tensione narrativa. Salles era ben conscio di quello che avrebbe dovuto fare, avendo percorso gli stessi itinerari di Kerouac ed essendosi documentato a dovere su di lui (ha persino prelevato dei dettagli dagli appunti originali del manoscritto resi pubblici nel 2007 per ricreare l’elemento jazz della scrittura del nostro). Eppure sullo schermo la tecnica non funziona: le scene scorrono lentamente per quasi due ore e venti e il montaggio frenetico le fa sembrare singoli episodi riuniti senza un preciso filo logico o addirittura senza senso, facendo perdere la rapidità del racconto ricercata dall’autore. In definitiva non è un bruttissimo lavoro, ma regge poco come film in sé e come trasposizione non è assolutamente valido: con una buona dose di noia e pressapochismo, Salles e il suo entourage hanno perso l’occasione di rappresentare cinquant’anni di mito e di perenne ispirazione per l’America. L’estremo paradosso si è compiuto: in un’opera intitolata Sulla strada la strada è stata ridotta ad un mezzo, i protagonisti non viaggiano, ma vanno e basta senza che si capisca il perché e agli spettatori più giovani resta un ritratto sommario e confuso della Beat Generation proprio con l’adattamento della sua opera principe.
Voto: 5/10