DE ANDRÉ. LA BUONA NOVELLA (Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini)

(Edizioni Terra Santa, 2019)
Sabato 26 ottobre 2019, a Genova, nella cornice di ViaDelCampo29rosso (“La casa dei cantautori genovesi”), ho avuto l’onore di introdurre l’ultimo lavoro di Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini. Conosco il duo da più di 10 anni e ne ho sempre apprezzato la produzione saggistica per quel taglio originale volto ad avvicinare il mondo della canzone d’autore ai temi della Fede e della spiritualità. Così, dopo i Giganti, Guccini, Cohen ed varie enciclopedie tascabili, ineludibile arriva il Fabrizio De André de La buona novella, ad un passo dal cinquantenario.
Si tratta di un volume assai stimolante: Salvarani e Semellini offrono al lettore un excursus dell’album molto conciso e dettagliato, sfruttando una prosa dinamica e sintetica che ha il pregio di mostrarsi comunicativa e, al tempo stesso, avvincente. Il sottotitolo “La vera storia di un capolavoro” ci conduce al nucleo centrale del testo ovvero le interviste a due importanti figure che hanno visto nascere la prima idea del disco: Don Carlo Maria Scaciga e Piero Scapucci. Un prete e un programmatore radiofonico per la Radio Vaticana: entrambi ebbero modo di incontrare Fabrizio De André tra il 1968 e il 1969, durante la pausa seguita all’uscita di Tutti morimmo a stento; stop durante il quale il cantautore genovese (ri)cominciò a scavare intorno alla figura di Gesù Cristo. Scaciga e Scapucci, a loro modo, toccarono con mano l’evoluzione di De André verso la direzione de La buona novella e, nel corso dell’intervista, ne hanno rivelato i contorni e – perché no? – l’influenza quasi maieutica (il resto è spoiler e qui mi fermo).
Salvarani e Semellini ricostruiscono il background dell’epoca portando riferimenti alle fasi del Concilio Vaticano II, ai cattolici del dissenso, all’avvento del centro-sinistra e al ruolo fondamentale della “Cittadella di Assisi” (meglio nota come “Pro Civitate Christiana”) di Don Rossi che tanto attirerà anche uomini apparentemente lontani dal mondo della Fede come Pasolini e Guccini.
L’incontro con gli autori ha generato una gioviale chiacchierata con un ulteriore allargamento dei temi contenutistici presenti nello scritto.
Naturalmente la cogente attualità dell’album porta lontano e nel presente: ti fa uscire dalle parole e dalla musica per gettarti in pasto alla nuda cronaca quotidiana. Un po’ come a cavallo tra anni ’60 e ’70, oggi viviamo in un’epoca di profondi cambiamenti, eppure sembra essersi smarrito quell’orizzonte di passione civile che un tempo aveva toccato la sensibilità degli artisti: la loro opera produceva una sorta di ricaduta formativa sul pubblico. Come ha sottolineato Salvarani, era il “noi” a cementare questo processo, mentre oggi prevale una sommatoria di “io”, accomunati dalla ricerca di un nemico. In questo senso, un disco come La buona novella avrebbe ancora molto da dire, ma soprattutto offrirebbe occasione per “pensare”, attività tanto gratificante, quanto faticosa, perché ci apre verso la complessità del reale.
Piacevole il feedback con il pubblico sull’eventuale eredità tematica e stilistica del disco e sull’attuale panorama cantautorale (intorno al quale Semellini si è lanciato con non pochi necessari distinguo tra passato, presente e futuro). A tal proposito, il libro, attraverso un’intervista a Tommaso Cerasuolo, ha dedicato una parentesi anche all’esperimento dei Perturbazione che, nel 2010, presentarono live una rilettura del classico di De André, segno che La buona novella resti un’opera aperta su cui lavorare ancora (pur nel rispetto dell’originale).
(Riccardo Storti)
