Recensioni

In nome del popolo italiano

Scritto da: dalse

Questo utente ha pubblicato 153 articoli.
Due mostri sacri del cinema italiano (Gassman e Tognazzi, i padri), due valenti sceneggiatori (Age & Scarpelli), due italie impegnate in un secolare scontro sociale, prima ancora che politico, due possibilità distinte di lettura del film contribuiscono a fare di quest'opera targata Dino Risi del 1971 un agghiacciante spaccato dell'Italia di quegli anni, che sarebbe tanto più limitante descrivere come attuale quanto più si disconoscessero le (misere) tappe che hanno portato un industriale a capo del governo.
L'Italia degli anni del film è quella che vide la proliferazione dei gruppi della sinistra extraparlamentare da una parte e delle minacce golpiste dall'altra, e Risi descrive con maestrìa due personalità profondamente diverse, pur tuttavia intimamente caratteristiche della trama sociale, politica ed economica che contribuì a formare il distorto concetto di democrazia espresso oggi dalla seconda (?) Repubblica.
La vicenda narra dello scontro tra l'integerrimo ed impegnato giudice Bonifazi (Ugo Tognazzi) ed il bugiardo imbonitore industrialotto Renzo Santenocito (Vittorio Gassman). Sullo sfondo la morte di una ragazza, che gli indizi viavia acquisiti legano al Santenocito attraverso un losco utilizzo di giovani prostitute atto all'ottenimento di favori, concessioni, simpatie in un vorticoso gioco di potere e nepotismo.
I caratteri dei due protagonisti sono evidentemente antitetici, ma sapientemente la sceneggiatura riesce a mostrare due personalità complete e complesse, nelle quali l'italiano medio può identificarsi a seconda dei casi e delle contingenze, due attori che recitano incastrati nella scenografia di un territorio stuprato con fiumi inquinati, boschi bruciati, ecomostri, strade crollate, costruzioni instabili, chiari simboli di corruzione, interessi forti e degrado morale.

E' immediata la trasposizione all'attualità, da parte dello spettatore, proprio basandosi sui fatti di queste settimane, e l'identificazione del Santenocito con un capo di governo e del Bonifazi con un giudice donna (c'è posto, per associazione mentale, anche per la troietta di turno), ma si tratterebbe di una lettura troppo immediata, che non renderebbe di certo merito alla grande capacità descrittiva degli sceneggiatori, ed alla loro indubbia conoscenza del cittadino italiano.
Da questo punto di vista è magistrale la surrealistica sequenza finale in cui una Roma deserta riprende immediatamente vita dopo la vittoria della nazionale di calcio, rigurgitando nelle vie tutto lo sciattume, la violenza, il cattivo gusto, la maleducazione di quell'Italia che tanto caparbiamente (e forse anche con un pizzico di ideologia) Bonifazi vuole difendere da sciacalli fascistoidi come Santenocito, il cui volto diviene i cialtroni volti dei festaioli.
Proprio qui le carte si mescolano: a questo punto l'industriale furbacchione è quasi simpatico, con i suoi assurdi tentativi di eludere la giustizia e crearsi un alibi, alibi che viene fornito dal ritrovamento dello struggente diario della ragazza morta, diario che, in un moto di giustizialismo personale carico di repulsione per quel popolo sovrano, il giudice va a bruciare, calpestando di fatto l'etica della propria professione e l'apreconcettualità dell'istituzione che rappresenta.
A ben guardarli, i clichè italiani ci sono tutti, anche nei cameo, ed è amareggiante pensare al fatto che nel tempo e nella realtà tutto questo abbia oggi assunto delle connotazioni grottesche; sia di monito una frase che all'inizio del film un medico legale rivolge a Bonifazi: "Ma lo volete capire voi giudici che al popolo italiano in nome del quale pretendete di esercitare la giustizia non gliene frega assolutamente niente e che vuole essere come i Santenocito di questo mondo ?”.

Consigliato a tutti coloro che sono ancora in grado di riflettere su loro stessi.