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Estate violenta

Scritto da: D.D.

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Ita 1959

Estate 1943 a Riccione: Carlo, giovane figlio di un gerarca fascista, cerca di conquistare la bella e giovane vedova Roberta che si trova in vacanza con figlia e madre per cercare di superare la perdita del marito da poco caduto in guerra.

Diretto da Valerio Zurlini, autore del soggetto e della sceneggiatura coadiuvato da Suso Cecchi D’Amico e Giorgio Prosperi, che realizza una pellicola estremamente romanzesca che segue una struttura, una narrazione quasi letteraria, così come lo sembrano anche i dialoghi e l’inquadramento psicologico dei protagonisti. Nella prima parte la guerra è solo sfiorata mentre nella seconda ha un ruolo decisamente importante e di grande rilievo (anche per la storia tra Carlo e Roberta). Il lungo corteggiamento tra il giovane e la vedova è ritratto più che degnamente e rispecchiando appieno gli stati d’animo tormentati dei due protagonisti. Le descrizioni filmiche risultano vellutate, quasi sussurrate e poco si adattano alla frenesia della maggioranza della cinematografia contemporanea.

Dramma sentimentale trattato con rara delicatezza e gusto usando, ma non abusando, di pennellate di malinconia. La pellicola riesce a rendere bene l’aria del tempo, cosa non facile per i film che cercano di rievocare i tempi passati. Estate violenta ha tinte marcatamente drammatiche che, in qualche inquadratura, ricordano volontariamente, ma forzatamente, il neorealismo. Da segnalare il finale di tutto rispetto, e degno dei migliori film (sicuramente inaspettato e azzardato visto il corso del film). Gran bel film impreziosito dagli attori: su tutti i due protagonisti Eleonora Rossi Drago (bella e intensa, come del resto tutta la pellicola, nel ruolo della vedova “ribelle”) e Jean-Louis Trintignant. A proposito del film il regista (grande artigiano cinematografico che purtroppo è sempre stato lodato dalla critica, ma forse mai come meritasse realmente, e dimenticato troppo in fretta dal grande pubblico) disse: “Cercavo di ritrovare il vuoto che circondava la gioventù del periodo, un vuoto intellettuale, culturale, un vuoto di fiducia, un’assenza di aspettative nel futuro. Erano così: strani ragazzi un po’ stupidi, frutto di un’educazione che, in fondo, li voleva stupidi, che non li voleva intelligenti”.