Recensioni

Ladri di biciclette

Scritto da: D.D.

Questo utente ha pubblicato 302 articoli.

Ita 1948

Riguardo questo film e questo altissimo periodo della cinematografia italiana è già stato analizzato, sezionato e sviscerato tutto il possibile, quindi cercherò di focalizzare la mia attenzione su una sequenza in particolare e sul contesto socio-culturale. Questo film è il punto massimo, la perfezione della filmografia neorealistica italiana e forse di tutto il movimento culturale italiano dell'immediato dopoguerra. La coppia De Sica-Zavattini (forse con più meriti quest'ultimo) raggiunge il capolavoro prendendo spunto da un fatto di cronaca per i più insignificante: la ricerca della bicicletta rubata, essenziale per avere un lavoro, da parte del disoccupato Antonio Ricci. Questa ricerca serve da spunto per mostrare una nazione distrutta dalla guerra che cerca di uscirne in tutti i modi possibili con una grandissima dignità. Ci fa capire un periodo storico e socio-culturale che non abbiamo vissuto, più di qualsiasi testo scolastico o non. Ci viene sbattuta in faccia la realtà della vita quotidiana e situazioni ormai perdute: il disordine-ordine del magazzino del Monte di pietà, il lavoro minorile, il mercato della povera gente di Porta Portese, la "messa del povero", i casermoni nella periferia spoglia, la bicicletta come unico mezzo d'indipendenza. La semplicità può diventare poesia, come nella sequenza del pasto in trattoria dove il piccolo-uomo Bruno torna per qualche minuto bambino davanti ad un piatto di filante mozzarella in carrozza guardando un coetaneo (certamente abbiente).

A differenza di altri film neorealistici, magari anche più importanti (come Roma città aperta), Ladri di biciclette ha tutto del neorealismo e tocca la perfezione grazie alla completezza dell'insieme: ambienti reali, attori presi dalla strada, il dramma, la poesia, la semplicità, la chiarezza...

Oscar come miglior film straniero e nomination come sceneggiatura non originale (Zavattini prese spunto dall'omonimo e quasi sconosciuto libercolo di Luigi Bartolini [1946]).