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Gianni e le donne

Scritto da: Vanoli

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Con un titolo del genere, non potevo proprio fare a meno di assistere alla visione di questo film!

No, il “Gianni” in questione non sono io, ma certo che, dopo essermi sorbito le sfrecciatine della mia stupenda ragazza, la curiosità era salita al fronte di un accostamento così: “Gianni e le donne”.

La pellicola, opera prima del regista e attore Gianni Di Gregorio, non è di quelle che ammicca al pubblico, non ha una sceneggiatura scoppiettante, è piuttosto arguta; non è per nulla volgare, è invece assai elegante e raffinata; non ti fa sbrodolare dalla risate, ti induce invero alla riflessione, condita com’è di ingredienti dolci e amari.

Insomma, non è certo “Manuale d’amore 3”, né ha nulla di cui spartirci.

Di Gregorio, attraverso gli occhi segnati dalle borse e l’aria trasognata del protagonista, ci parla di un modo di vivere, più che di affrontare, lo spettro della terza età.

Contano gli sguardi, i silenzi, il passo cadenzato con cui Gianni porta a spasso il cagnolino suo e quello dell’avvenente e scoppiata dirimpettaia, il san bernardo Riccardo.

Le donne evocate vorrebbero rappresentare il sogno del pensionato, il suo riscatto, il suo poter cogliere gli aspetti belli degli anni di vita che ancora gli aspettano, specie dopo l’illuminante scoperta svelatagli dal fido avvocato Alfonso, che i loro coetanei cioè si fanno tutti l’amante.

Nonostante gli incoraggiamenti dell’amico, Gianni riesce parzialmente nell’impresa. Gli manca il guizzo finale, il carpe diem, specchio fedele dello stile di vita da sempre adottato, all’insegna di un devoto quanto obbligato sostegno morale alla ricchissima e arzilla madre, nonostante i 95 anni, spesi tra agguerrite partite a poker con le amiche e bevute di vini da 150 euro a bottiglia.

In famiglia comandano le donne, la moglie e la figlia nullafacente, che si accompagna ad un altrettanto nullafacente pseudofidanzato, in realtà più che un parassita.

Invece sarà proprio il giovane Michelangelo a instaurare una sorta di sincera empatia nei confronti del probabile futuro suocero, che chiama affettuosamente “Già”.

Andranno miseramente in frantumi i propositi di Gianni di riscattarsi e restano memorabili alcuni sketch, pur nell’ambito di una sobrietà e di una formalità di linguaggio esemplari.

Un film da vedere, leggero ma non per questo tristemente superficiale, forse è più corretto dire “triste”. Una tristezza che più che di rassegnata oppressione sa piuttosto di consapevolezza e di nostalgia per qualcosa che poteva essere e non è mai stato.