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La guerra di Mario

Scritto da: D.D.

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Ita 2005

Finalmente un bel film italiano che vuole raccontare, e ci riesce bene, una storia senza nessuna pretesa di sorta.

E' la vita di una professoressa che viene sconvolta dall'affido di un bambino "difficile" (Mario) di nove anni. Il regista, Antonio Capuano, dimostra di essere un buon "artigiano" della cinematografia. Lo spunto per questo film gli viene dato da una sua amica che gli racconta questa "storia di vita" capitata a lei. Quindi ad interpretare Mario ci voleva un bambino "autentico", ed il regista lo scova dopo una ricerca durata un intero anno scolastico scandagliando tutte le scuole napoletane. Il film è una bella fotografia che inquadra bene una situazione di un Italia reale che però è troppo spesso ignorata dai media, salvo le volte in cui ci "scappa la notizia". Il piccolo Mario è molto talentuoso, sconfinante forse nella genialità (la poesia che scrive è realmente stata composta dal bambino da cui è stata tratta la storia). E' anche un bambino indomabile, allo "stato brado" (anche per la vita passata che nonostante la giovane età è stata segnante), che non va tenuto rinchiuso e soggetto alle regole che la società borghese (esiste ancora la borghesia?) impone. E' anche la storia di un rapporto, tra il bambino e la possibile madre adottiva, impossibile fin dall'inizio, che si conclude "da copione" dove l'amore non può bastare da solo a far evolvere e consolidare il rapporto.

Da segnalare che il film si apre con una bellissima sequenza: prima il bambino disegna su un pannello bianco, autonomamente e senza "dritte" del regista, curve picassiane per poi passare alla scena successiva in una galleria buia con curve. Il regista aveva fatto il trailer con solo la sequenza di Mario che disegna sul pannello bianco, ma la Medusa l'ha bloccato perchè considerato troppo "alto" e "impegnato" per il pubblico...

Nonostante sia un film riuscito e assolutamente da vedere il regista non è riuscito sufficientemente a "far entrare" lo spettatore dentro al film e non riesce a dare le emozioni neorealistiche che poteva dare.