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Fuga di cervelli

Scritto da: Dj LT

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fuga di cervelli(2013), di Paolo Ruffini

 

C’era una volta un livornese conduttore di un programma di cabaret alla deriva e creatore di ridoppiaggi demenziali che decise, di punto in bianco, di realizzare il suo primo film portandosi dietro due comici e la velina del suddetto programma più due noti volti del web per attirare i loro fan nelle sale; realizzò così una commedia degli equivoci con ottimi incassi e vissero tutti felici e contenti. Tranne il nostro cinema, ovviamente. Ma in fondo era ovvio, cosa altro aspettarsi da un pubblico assuefatto dai cine-panettoni che ha perso il fiuto per la buona qualità se non il successo al botteghino di una simile porcheria? Come già detto, Paolo Ruffini, il livornese in questione, era al suo primo film ed era logico pensare che si sarebbe perlomeno impegnato per pensare almeno a qualcosa di originale. E invece ha scelto la via più semplice: fare ciò che piace alla gente. Il che non è necessariamente un male, ma non permette di creare alcunché di nuovo, anzi, la maggior parte delle volte porta a delle stupidaggini visto che la maggior parte della gente è stupida o vuole prodotti stupidi. Pertanto Ruffini e sceneggiatori hanno clonato un omonimo film spagnolo (stroncato dalla critica e comunque campione d’incassi) cercando di “italianizzarlo” e riempirlo di citazioni a caso. Visto in sala strapperà anche un sorrisetto, peccato non valga i soldi spesi per le seguenti ragioni: al di là del fatto che sia un remake, la trama è banale e puzza troppo di “già visto”; gli espedienti comici sono fin troppo volgari (turpiloquio e doppi sensi a gogo) o troppo scemi (giochi di parole); la regia non esiste; se le location a Torino dovrebbero essere Oxford, allora i campi di Monzambano sono le praterie del Nebraska; l’unica canzone bella, Ragazzo inadeguato di Pezzali, è usata male e al momento sbagliato, nonostante fosse stata promossa come brano portante; inutile cameo di Pino la Lavatrice. Poi c’è il “cast”. Qui Ruffini poi vuole pure strafare e affida a sé stesso il ruolo del protagonista/narratore cieco: vanità 10, credibilità 0. Olga Kent (doppiata, tra l’altro) e PanPers possono tranquillamente cadere nel dimenticatoio, ce ne faremo una ragione. Guglielmo Scilla, alias Willwoosh, si traveste da Il grande Lebowski ed è inerte e come un palo della luce; Frank Matano potrebbe essere l’unico a risultare simpatico, però un film così non ne valorizza il talento. Alla fine lui e Willwoosh sono solo uno specchietto per le allodole (efficace, a quanto sembra). Stendiamo, infine, un velo pietoso sui bravi attori coinvolti quali Izzo e Messeri, che evidentemente hanno dimenticato cosa voglia dire avere una dignità. Tra le tante feroci critiche partite dalla rete, si segnala quella di Yotobi, con la quale ha aperto il suo nuovo format Mostarda: ha un discorso interessante e fa sicuramente più ridere del film.

Voto: 3/10